Sistema Territoriale Rurale
Il Sistema Territoriale Rurale 16 Complesso del Vesuvio-Monte Somma ha una superficie territoriale di 215,8 kmq, pari al 18% del territorio provinciale; esso comprende i territori di 17 comuni, tutti ricadenti nella provincia di Napoli.
Il Sistema comprende l’edificio vulcanico del SommaVesuvio, in larga parte ricadente nel Parco Nazionale del Vesuvio. Il Sistema del SommaVesuvio presenta due ambiti di paesaggio molto differenti: quello della porzione meridionale il Vesuvio con una morfologia giovane, irriducibile a schemi ordinati perché sconvolta nel corso degli ultimi due millenni dal succedersi dell’attività eruttiva; e quello della porzione più antica, i versanti settentrionali del Monte Somma, che conservano la morfologia vulcanica più matura, precedente all’eruzione pliniana del 79 d.C. I paesaggi del Somma costituiscono la facies tranquilla, verde, rigogliosa del vulcano, con un microclima fresco ed umido, i boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. I paesaggi del Vesuvio rappresentano invece la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare, priva ancora di un reticolo idrografico affermato. Alle quote più alte il mosaico ecologico è dominato dalla presenza di ecosistemi pionieri che colonizzano i depositi di ceneri e le colate laviche: distese a licheni, macchia, nuclei di leccio, pinete antropiche. Nel complesso, secondo la Carta regionale di Uso dei Suoli, le aree forestali e seminaturali interessano una superficie pari al 20% di quella complessiva del Sistema.
I versanti bassi ospitano albicoccheti, orti arborati e colture serricole, all’interno di un paesaggio agrario che si fa via via, procedendo verso la costa, più frammentato ed intercluso da un tessuto urbano pervasivo e disordinato.
I fattori evolutivi dei paesaggi vulcanici sono molteplici e quello determinante è senz’altro rappresentato dall’incontenibile pressione dei sistemi urbani. Nell’ultimo cinquantennio il grado medio di urbanizzazione è quintuplicato nell’ultimo quarantennio, passando dal 6 al 30% della superficie territoriale del Sistema, dando vita ad una imponente conurbazione anulare ad elevatissimo rischio, che circonda oramai il vulcano.
Lungo i terrazzamenti del Vesuvio, così come del Monte Somma, dove la natura non si piega a comode geometrie, è facile ritrovarsi in appezzamenti che si inerpicano tra rocce e vallate che solo la passione e lo stoicismo dei nostri Contadini può motivarne la cura e la coltivazione.
A fronte delle difficoltà oggettive, il complesso Somma-Vesuvio è tra le zolle più fertili del Pianeta e ciò proprio in considerazione della sua origine vulcanica.
L’eruzione del 79 d.C. che distrusse Oplontis, Stabiae, Pompei ed Ercolano, oltre a determinare un nuovo assetto geofisico disegnando un cambiamento anche nel rilievo montuoso del cratere, produsse una vera e propria rigenerazione della crosta terrestre conferendole caratteristiche morfologiche e organolettiche destinate a divenire peculiarità uniche e distintive di questo Territorio.
Nel territorio del Parco Nazionale del Vesuvio sono censite 230 specie minerali, di cui 62 sono rappresentative di questo vulcano, mentre 6 sono, ancor oggi, esclusive di questa località: questi dati fanno dell’area una delle più interessanti al mondo. La ricchezza di varietà di specie minerali presenti nel complesso Somma-Vesuvio è dovuta alle diverse modalità di formazione dei minerali stessi, che si sono originati da eruzioni effusive, esplosive o da attività fumaroliche.
Storia
La coltivazione del Pomodoro è relativamente recente. Originario del centro-America, diffuso presso i Popoli Maya, Incas e Aztechi che lo chiamavano “xitomatl”, pomo di piccole dimensioni e di colore giallo, arriva in Europa fra il 1519 ed il 1521 ad opera Hernán Cortés che ebbe cura di rastrellare e portare in Spagna le ricchezze e i tesori del Nuovo Mondo.
L’Italia, e in particolare il Regno di Napoli, allora dominio della monarchia spagnola (già con Alfonso d’Aragona e poi con Carlo V d’Asburgo), fu tra le prime nazioni europee a conoscere il pomodoro.
Tuttavia, passeranno alcuni secoli prima che il “nuovo frutto” cominci ad essere apprezzato come genere alimentare e solo nel XIX secolo farà il suo ingresso nei ricettari conquistando, specialmente al Sud, il podio più alto tra i prodotti base della cucina moderna, indispensabile ingrediente dei cuochi più raffinati.
Secondo quanto riportato da recenti studi, il “pomodoro” viene menzionato per la prima volta in letteratura nel 1694 da Antonio Latini. Nel suo trattato di gastronomia, Scalco alla moderna, non a caso edito a Napoli, l’autore lo indica quale ingrediente usato per una ricetta di stufato di verdure.
Nel suo Panonto toscano, pubblicato nel 1705, Francesco Gaudenzio, cuoco dei Gesuiti, scrive del misto di verdure in tegame e si sofferma sul colore rosso del piatto dovuto all’inserimento dei pomodori prima pelati e tagliuzzati e poi soffritti nell’olio.
Vincenzo Corrado, esperto di botanica e di gastronomia, nel suo Cuoco galante pubblicato (sempre) a Napoli nel 1773, descrive i pomodori come “frutti” color zafferano.
Nel 1835, Alexandre Dumas, di rientro in Francia da un suo soggiorno a Napoli, racconta di aver mangiato una pizza condita con il pomodoro. Il pomodoro incontra finalmente la pizza.
Ippolito Cavalcanti, nel suo volume Cucina teorico pratica, dato alle stampe nel 1839, scrive, usando dizioni in dialetto napoletano, de “i vermicielli co’ le pommodore”. Il pomodoro fa la sua prima uscita con la pasta.
Niccolò Paganini nel 1840 pubblica la sua famosa ricetta dei ravioli alla genovese e finalmente si parla di “salsa di pomodoro”.
Ed è a partire da questo periodo che, molto probabilmente, nelle terre del Vesuvio-Montesomma si diffonde la coltivazione del pomodoro e con esso tutto un sapere contadino sulle forme di allevamento, ma anche dell’uso e della conservazione del prodotto.
Già a metà ‘800, studi condotti da Achille Bruni, titolare della Cattedra di Agricoltura della Reale Scuola Superiore d’Agricoltura in Portici, documentano la produzione nel vesuviano di pomodorini che “si mantengono ottimi fino in primavera, purché legati in serti e sospesi alle soffitte”. (Bruni, “Degli ortaggi e loro coltivazione presso la città di Napoli”, 1858)
Infatti, la particolarità dell’ecotipo coltivato sul Vesuvio, grazie alla maturazione su un terreno drenate, ricco di mineralità e con poca acqua, e proprio per la sua buccia coriacea, riesce a conservarsi al naturale fino alla primavera successiva alla raccolta.
Come sempre accadeva per gli ortaggi d’uso familiare, i contadini sceglievano i frutti che reputavano più adatti e ne prelevavano il seme, che andava a costituire il materiale di riproduzione per l’anno successivo. Così nella prima metà del ‘900 erano già conosciuti e diffusi i pomodorini “Fiaschella”, “Lampadina”, “Principe Borghese”, “Re Umberto” e “Patanara” da cui sono derivati gli attuali ecotipi.
Fino a tutti gli anni ’70 del secolo scorso, nei comuni che girano attorno al Vesuvio, non c’era borgo contadino che, a partire dal mese di luglio, non appendesse sotto il porticato i piennoli di pomodori realizzati secondo un metodo semplice di intrecciare i frutti raccolti a grappoli in un filo quasi come infilare le perle di una collana.
Erano quelli gli anni in cui il frigorifero non era ancora presente in tutte le case e, laddove c’era, veniva usato solo d’estate per rinfrescare alimenti di uso giornaliero e bevande. Qui gli antichi saperi dominavano ancora la cultura e non solo popolare. E anche la conservazione degli alimenti rispettava, pertanto, i metodi tradizionali. Il pomodoro del Vesuvio, caratterizzato dal pizzo, raccolto anzitempo rispetto alla sua maturazione, asciutto e dalla buccia corazzata, veniva appeso in un luogo ambrato e ventilato per essere consumato poi nei mesi invernali.
Le famiglie vesuviane, infine, sono solite preparare la tradizionale e secolare conserva tipica detta “a pacchetelle”, caratterizzata da un processo di lavorazione manuale, fortemente legato al territorio vesuviano, che si è tramandato nel tempo e che ancora oggi si svolge utilizzando il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio non pelato, tagliato longitudinalmente in metà o in spicchi (o “filetti”) e conservato in vaso di vetro.
Tra gli anni ’80 e ’90, caratterizzati da un forte abbandono delle campagne, tra processi di globalizzazione e di omologazione, molte colture dell’agro vesuviano si sono più che dimezzate quando non completamente scomparse.
Tra queste anche il pomodorino ha subito una sua battuta d’arresto per poi essere, fortunatamente, ripreso a partire dai primi anni del nuovo millennio. Ed è grazie al Consorzio che si è riusciti a salvare un ecotipo che rivendica una propria origine e identità.
Il Paesaggio
Il Vesuvio forza e ricchezza della nostra agricoltura.
La morfologia dei suoli, quindi, è quella tipica che si riscontra lungo le pendici del cono vesuviano ed è caratterizzata da tessitura sabbiosa, che rende i terreni molto sciolti e drenati. I suoli hanno mediamente una reazione neutra o sub-alcalina ed una buona dotazione in macro e microelementi assimilabili, collocati lungo le pendici acclivi del complesso vulcanico, sono stati oggetto di terrazzamenti ed hanno una giacitura pianeggiante o leggermente acclive.
Il clima, nel corso della stagione colturale, è prevalentemente asciutto, con discreta ventosità elevate temperature massime, ampie escursioni termiche fra notte e giorno ed elevati livelli di insolazione. Ciò contribuisce ad un naturale controllo delle malattie parassitarie, in particolare di quelle crittogamiche.
L’incidenza ambientale è tale che gli stessi ecotipi di pomodoro, se coltivati fuori area tipica, forniscono frutti con qualità sensibilmente diversi rispetto a quelli oggetto di tutela.
Il pomodorino, conservato al piennolo o in conserva, rappresenta una delle produzioni più antiche e tipiche dell’area vesuviana. Le prime testimonianze documentate, e tecnicamente dettagliate, sulla presenza e sull’uso del pomodorino nel comprensorio Vesuviano risalgono alle pubblicazioni de proff. Paride Palmieri, Francesco De Rosa e Marzio Cozzolino, della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici (Na), rispettivamente del 1885, 1902 e 1916.
Nei secoli scorsi la coltivazione di questo tipo di pomodoro si era affermata sia per le ridotte esigenze colturali che per l’idoneità alla lunga conservazione nei mesi invernali, in virtù della consistenza della buccia, della forza di attaccatura al peduncolo e dell’alto contenuto in solidi solubili. L’antica diffusione di questa tipologia di pomodoro conservato era infatti legata alla necessità di dover disporre nei mesi invernali di pomodoro allo stato fresco per poter adeguatamente guarnire le preparazioni domestiche da sempre molto diffuse nel napoletano, fra cui pizze e primi piatti, che richiedevano intensità di gusto e di fragranze.
Il fattore umano, esplicatosi nella messa a punto di un metodo di coltivazione e di conservazione ben calibrato e tipico della zona, unito al particolare quadro ambientale dell’area vesuviana, frutto dell’ottimale insolazione, del clima asciutto e soprattutto della straordinaria natura piroclastica dei suoli, hanno portato ad un prodotto unico nel suo genere, per pregio organolettico e serbevolezza, quale è quello che ancora oggi si coltiva e si conserva.
L’areale di produzione
La zona di produzione della nostra D.O.P è rappresentata dai 17 Comuni che costituiscono l’area del Sistema Territoriale Rurale 16 - Complesso Vesuvio-Monte Somma, ricoprendo l’intera superfice del Parco Nazionale del Vesuvio.In particolare, l’areale di riferimento comprende il territorio dei seguenti Comuni:
- Boscoreale,
- Boscotrecase,
- Cercola,
- Ercolano,
- Massa Di Somma,
- Ottaviano,
- Pollena Trocchia,
- Portici,
- Sant’Anastasia,
- San Giorgio a Cremano,
- San Giuseppe Vesuviano,
- San Sebastiano al Vesuvio,
- Somma Vesuviana,
- Terzigno, Torre Annunziata,
- Torre del Greco,
- Trecase,
- Piazzola di Nola (frazione e demanio amministrato dal Comune di Nola, ma territorio geograficamente racchiuso tra le campagne di Somma Vesuviana e Ottaviano).